Parrocchia  

   

Lettera di congedo di Don Pensabene

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 90 Don PensabeneNel gennaio scorso, carissimi fedeli, il sottoscritto ha compiuto 40 anni di presenza in questa parrocchia.
Era una fredda sera invernale. Mi accompagnò da Melito mons. Ferro che veniva da una visita a S. Lorenzo e ricordo sempre il contrasto tra il silenzio della Via Aschenez di allora e l'esplosione di gioia in chiesa per la venuta del nuovo parroco. In precedenza ero stato a Fossat o, a Rosalì, a S. Giuseppe al Corso negli anni del dopoguerra. Chi l'avrebbe pensato!

Nato in un sobborgo di Nuova York (Brooklyn) il Signore mi riportò ragazzino da oltreatlantico alla terra dei miei avi e come a un Mosè in piccolo mi affidò il suo popolo.
Sì, da quella sera c'è stata sempre la stessa gioia ma non più le stesse persone. I più se ne sono andati. Quei tempi sono stati quelli del primo amore e ora quando passo per le vie della parrocchia, nonostante la vita  che vi ferve continuamente, mi sembra di passare in rassegna i loculi di un cimitero. Mi siete tutti davanti. E come ricordo vivi nelle mie preghiere così ricordo anche i trapassati.

Il tempo è come le due sponde di un grande fiume. Limitata la riva che ci lasciamo alle spalle, senza orizzonti quella verso cui traghettiamo nell'eternità. Un giorno non ci sarà più distinzione come in ogni famiglia permettetimi di fare un bilancio personale.
Sono stato sempre animato, nonostante la mia indole aliena dai sentimentalismi, da un forte senso di famiglia e prima di giungere qui avevo chiesto al Signore di lasciarmi a lungo per soddisfare questa paternità. La parrocchia era la nuova famiglia. Non ho lasciato alcuna occasione per sacrificarmi. Ho fatto del mio meglio, come S. Paolo, per far nascere Cristo nei vostri cuori, anche se l'ambiente cittadino per molti versi è più che dispersivo. E come non si concepisce una famiglia senza tempi lunghi, ho lavorato sempre guardando a scadenze lontane, non lasciandomi esalta re da effimeri successi né abbattere da incidenti di percorso come voi con i vostri figli che allevate dalla prima infanzia fino alle soglie della virilità.

Questa era una volta la mentalità corrente della chiesa antica che voleva che il parroco fosse come uno sposo che impalma per sempre la sua sposa. Oggi esigenze diverse, consangaetanoanni050specie per la scarsità del clero, non sempre lo permettono. Ho trovato per questo sempre strano che si parli del matrimonio dei sacerdoti, pur rendendomi conto della frag ilità umana. Come l'antica Cornelia, io mi sentivo pienamente realizzato e ripetevo sempre: questi sono i miei tesori, questi i miei figli. Posso dire, e voi mi siete testimoni, che non ho badato mai al carrierismo, mai a vantaggi personali, mai a truccarmi davanti ai superiori. Ho fatto sempre il parroco a tempo pieno. Per questo tra i pochi ho continuato per quarant'anni senza interruzione la Visita e la Benedizione alle famiglie. L'unica mia alternativa è stata quella dello studioso e anche questa è stata messa in secondo ordine, sfruttando il tempo libero, anche se con la mia passione e il mio impegno avreipotuto percorrere una carriera universitaria. Sono stato sempre innamorato della cultura perché chi più conosce più ama e niente più di essa ci avvicina all'assoluto e all'eternità. Mi son contentato di attendere agli studi ma in forma strettamente privata. E chiedo perdono al Signore se non gli ho  dato tutto ma son certo di averlo messo sempre al primo posto.
Se ho fatto per più di un decennio il professore, lo sono stato per potere costruire a Gambarie con qualche entrata in più la Casa per i gruppi giovanili. Questo non significa che in questa avventura spirituale tutto è stato idillico. Quante difficoltà di ogni genere! Quanti sacrifici e anche incomprensioni! Diversamente il sacerdote non sarebbe discepoli del suo maestro. La vicenda che più mi ha fatto soffrire insieme a voi è stata la scomparsa dopo quasi un secolo dell' Istituto S. Pio X e il modo con cui è stata condotta. Maledetti soldi. I nostri ragazzi non hanno neppure il marciapiede per poter sostare e abbiamo dovuto mettere le ringhiere perché non venga occupato dalle macchine.

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